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Arriva a Caserta Memento di Giovanni Ruggiero

Caserta, 2 ott. - Si chiama "Memento" la mostra fotografica di Giovanni Ruggiero, giornalista, inviato del quotidiano Avvenire e fotografo, che ha trovato un altro modo per raccontare le sue storie: le scatole di "Memento" che sono sculture di ricordi esposte al Belvedere Reale di San Leucio di Caserta dal 9 al 31 ottobre.Le scatole di legno aprendosi svelano allo spettatore momenti intimi, gioie e dolori personali che pero' possono diventare emozioni di tutti. "Memento" nasce da lontano. E' frutto di una sofferenza personale, legata a una malattia che, invece di annichilire il suo animo, gli ha svelato nuovi orizzonti espressivi e narrativi.
 E adesso che il male e' alle sue spalle, Giovanni Ruggiero , ha deciso di svelare queste scatole segrete in cui ha conservato tutte le sue emozioni. "Io - dice presentandosi - assemblo i ricordi. Do una forma alle mie emozioni e a quello che e' stato perche', in questo modo, restino ancora a rammentarmi una gioia o anche un dolore". Queste scatole sono scrigni, come quelli che tutti hanno in casa, riposti lontani da occhi indiscreti, in cui ciascuno conserva piccole vestigia del suo passato.
Giovanni Ruggiero , invece, ha deciso di non nasconderli, ma di mostrarli, consentendo a chi lo desidera di aprirli e di curiosarci dentro. "Le sue opere -  scrive Enzo Battarra nel catalogo della mostra - si aprono a noi e si rivelano nella loro capacita' di essere cronaca e metafora, segno e simbolo, passione e ragione, comunicazione, certamente idea. Ogni scatola e' una camera di segreti.
Ogni scatola nasconde una sorpresa. Il gioco sta proprio nel piacere di aprirle una a una, di scoprirle, di portarle alla luce, Per poi magari richiuderle, nella consapevolezza che conserveranno per sempre dentro di loro il ricordo di un nostro incontro".
(Agenzia AGI - 2 ottobre 2010, ore 17,45)





Memento, homine!

La scultura è qualcosa di intimo, qualcosa che vive dentro di noi. La scultura è dentro la vita, dentro l’anima, dentro i pensieri più affascinanti come quelli più dolorosi. La scultura va svelata, scoperta, tirata fuori dalle scatole della memoria ed esposta alla luce, sua eterna compagna di viaggio, sua vita. La scultura vive di luce ma è oscuro oggetto del desiderio, finché non prende la sua forma, la sua identità, il suo spessore. La scultura va toccata, saltando la nostra tattilità. Per Giovanni Ruggiero l’opera va anche manipolata, invitando ognuno di noi a un’interazione con l’oggetto. Le sue sculture sono letteralmente “opere aperte”, immagini da dischiudere, da ritrovare all’interno di una teca fisica ma al tempo stesso mnemonica. “Memento, homine!”. Abbiamo il dovere di ricordare, a volte il piacere. Nel nostro universo quotidiano scorrono immagini di guerre dichiarate e di eventi bellici più nascosti e intimi, immagini seducenti e attrazioni fatali, relazioni pericolose e gioiose esplosioni di vita. Tutto questo ci portiamo dentro. Nei nostri viaggi, nel nostro lavoro, nei nostri pensieri. Viviamo di immagini e di parole, a volte riusciamo a coniugarle insieme, nell’arte come nella vita, nell’informazione come nei sogni. Le opere di Giovanni Ruggiero si aprono a noi e si rivelano nella loro capacità di essere cronaca e metafora, segno e simbolo, passione e ragione, comunicazione, certamente idea. Ogni scatola è una camera dei segreti. Ogni scatola nasconde una sorpresa. Il gioco sta proprio nel piacere di aprirle una a una, di scoprirle, di portarle alla luce. Per poi magari richiuderle, nella consapevolezza che conserveranno per sempre dentro di loro il ricordo del nostro incontro.
Enzo Battarra






Ruggiero, la «memoria» dello sguardo interiore

È la memoria la cifra esplicita della avventura artistica di Giovanni Ruggiero, giornalista, inviato speciale di Avvenire, fotografo e artista. La memoria come luogo del tempo e dell’immagine ribaltati nello sguardo interno, nella sensibilità e nella coscienza.

Una memoria custodita in una scatola ( «Ogni uomo è una scatola», recita il sottotitolo della mostra Memento.
Le sue opere sono infatti tante scatole: chiuse custodiscono il passato, aperte inaugurano il presente. Il passato di Ruggiero è soprattutto quello di inviato e autore di importanti reportages specie nei Paesi dell’America latina e in quelli dell’Est europeo: cronache e storie, suggestioni, ma anche segnali di vita. Segnali, spesso, della pietà e del dolore che attraversano la carne, la portano sulla soglia dell’oltre. E con essi il dramma di una esperienza personale, di una lotta con la morte e con la vita.
Un’autobiografia tradotta nei termini dell’arte con una capacità non comune di cogliere i nessi invisibili tra immagine e segno, tra segno e parola. Come nell’opera Bird on the Wire, in cui un ricordo d’infanzia si lega ad una visione tenerissima, di un semplice filo su fondo grigio su cui poggia un passero solitario; o in Mise en bouteille à la source in cui la percezione di un gesto devoto come la raccolta dell’acqua santa a Lourdes si accorda miracolosamente col delicato gioco cromatico delle bottigliette di plastica.
Più complesso e allusivo si fa il linguaggio in opere come Le tentazioni di Sant’Antonio, in cui è implicito lo sguardo alle lusinghe della modernità; e maggiormente concettuale quello che caratterizza le opere ultime, da Lex a Henry Wilmans ,
che diventano veri e propri puzzle della memoria simbolica ormai orientata al racconto socioesistenziale.
C’è una grande lucidità nelle opere di Ruggiero, narrativa e autonarrativa, come un sezionarsi nello specchio della vita, per poi ricomporsi nella fermezza compassionevole del cuore. Nascono di qui lo sguardo a ritroso, il diario della memoria. Una memoria che non percorre strade preconcette della ideologia, ma vie dell’anima silenziosa che cerca di leggere senza pregiudizi non solo i fatti amari dell’esistenza, ma soprattutto le implicite ragioni dello spirito.

Giorgio Agnisola
(Avvenire 22 ottobre 2010)


Ruggiero e l’essenza del ricordo

Giovanni Ruggiero è un artista? Sì, perché se l’arte è il linguaggio della memoria, del mito e dell’immaginazione, nelle sue opere si può vedere in modo evidente come l’asse misterico, profondo, segreto e studiato della sua ricerca sia posto sull’essenza del ricordo. L’azione e lo slancio creativo ripiegano sul passato onde recuperare il senso del presente che, di norma, sfugge a se stesso, per cogliere un ideale di identità che è madre e figlio della sua esperienza culturale e storica.
Parliamo di essenza del ricordo, perché ciò che conta è l’elemento che unifica i suoi diversi e a volte confliggenti contenuti: quello che permane non è l’episodio, non il fatto, ma la sua sostanziale natura, il significante, l’essenza sublime che ci rivela il volto, liberato dalle maschere, dell’artista, dell’uomo, del padre, del giornalista: l’archetipo.
Con le sue opere, Giovanni Ruggiero ci dice chi è, da dove viene, dove sta andando. Egli ci delinea la sua strada all’universale, ciò mostra le tracce di una memoria in cerca di se stessa, ci dice quale domanda sta cercando una risposta.
Il tema della memoria non è solo una questione di filosofia, ma è un assunto radicato profondamente nell’essere umano che ha, ed avrà sempre, il terrore dell’oblio. Il nostro desiderio di immortalità, indipendentemente dal fatto che si creda o no nell’anima eterna, è comunque forte. I ricordi ci circondano; vivono negli oggetti, in una melodia, in una sensazione; ci rincorrono o restano imprigionati in una fotografia.
Certo l’assenza della nostalgia, l’assenza della memoria è, come si dice comunemente, una perdita di identità. Se non avessimo la nostra memoria non sapremmo chi siamo. Questo lo pensava già Heidegger, lo intuivano i classici della filosofia. Ma anche l’oblio è una necessità. Non esiste memoria senza oblio. La memoria è un ritratto che facciamo della nostra vita. Memoria e dimenticanza sono due entità legate, una coppia indivisibile di amanti. Che cosa vuol dire, ad esempio, la propria vita? Vuol dire selezionare, ricordare pezzi, istanti, momenti, trovare un senso alle nostre azioni, immaginare e creare legami. Al contrario, avere la capacità di ricordare anche ogni piccolo dettaglio di un qualsiasi futile avvenimento sarebbe una condanna. Ci ritroveremmo in una situazione patologica, non ci sarebbe memoria ma soltanto una cosa spaventosa: il ricordare tutto. Un tema che fa parte , infatti della letteratura sui casi psicopatologici.
Ciò che distingue un artista, come Giovanni Ruggiero, da un uomo comune è la sensibilità, l’emotività, la profonda partecipazione comunicativa che accompagna la ricerca di se stessi, che accompagna questa selezione vitale che è l’esistere. Possiamo dire che quanto accade a livello inconscio in ognuno, nell’artista diventa visibile, chiaro, limpido, estetico. Diventa logos, un atto di disvelamento, un far apparire e un far vedere “mostrando”.
Giovanni Ruggiero ha incontrato le Muse. Probabilmente durante i giorni della grave malattia che lo ha colpito e del trapianto che lo ha salvato. In quelle ore in cui la morte diventa qualcosa di più di una semplice paura. Le antiche dee lo hanno iniziato ad un mondo nuovo, più limpido e cristallino. Ispirato dalle Muse, i suoi occhi si sono messi a scrutare i ricordi, mentre le mani hanno incominciato a dare una forma alla memoria. Non a caso queste divinità hanno un nome dal significato ben preciso. Esso derivo dal verbo myéin che significa “iniziare ai misteri”, introdurre al segreto delle cose. Nate da una delle tante unioni di Zeus, hanno una madre il cui nome è da solo un programma: mnemosyne, cioè la memoria, e mneiai (le memorie) sono anche chiamate.
Le Muse quindi nascono per conoscere e per ricordare. Ricordare è anche tramandare, quindi dipanare quel filo che collega il passato al presente e prepara il futuro. E per questo le Muse donano agli uomini anche la lesmosyne, cioè l’oblio, facendo cessare le sofferenze, le preoccupazioni, il dolore e quant’altro possa impedire lo slancio creativo. Nate alle pendici dell’Olimpo, esse furono portate sull’Elicona, uno dei due monti – l’altro è il Parnaso – che domina Delfi. Il luogo sacro per eccellenza, l’ombelico del mondo, dove sorge il santuario di Apollo con il suo celebre oracolo. E di Apollo, loro fratello, di dell’ordine cosmico, della luce e dell’autocoscienza, formano il corteggio, tanto che tra i vari epiteti del nume troviamo anche quello di musagète, cioè conduttore delle Muse, o musèo da cui deriva il none dei luoghi dove conserviamo i capolavori d’arte.

Gianfranco Della Rossa
(DianArte)


Le tèche della memoria
Giovanni Ruggiero, dopo aver girovagato per il mondo e visto altri continenti, sempre con la sua inseparabile macchina fotografica tra le mani, ha per così dire, fotografato i suoi tormenti esistenziali, dopo il trapianto di fegato subito nel 2005.
Ha occhi profondi e interrogativi, Giovanni, che ti scrutano dentro; vuol esser certo che il suo sguardo ha penetrato il buio del silenzio e perforato la corazza che ci protegge. è abituato a farlo, deve farlo, il suo mestiere di giornalista in giro per il mondo lo ha reso avvezzo a scoprire le cose prima con la vista, e poi penetrando in esse, scriverne le storie.
Sono tante bacheche che Giovanni ha concepito con la luce negli occhi, vagando con lo sguardo dentro terre straniere; ma tutte le terre si assomigliano, hanno sempre radici profonde, come la sua – tra Napoli e Caserta – hanno anche in comune certe espressioni della religiosità popolare, sorta di ex-voto, che puoi trovare nel Messico, ma ti sembra di stare dalle tue parti, perché fede e devozione, e culto delle immagini sacre si rincorrono ovunque, sempre, con le loro storie sotterranee.
Di edicole votive, di santi protettori, di madonne comprensive e benigne, ma anche di pene taciute, non dette, serbate e gelose nel reticolo dei giorni che scorrono.
Così, vagando tra se stesso e tra le immagini a lungo conservate, ha dato alla luce un itinerario visivo fatto di opere che stanno tra pittura, fotografia, e assemblaggio plastico di materiali eterocliti, che dicono della sua tensione ad incorporare dentro l’oggetto dell’arte, nel suo statuto linguistico, i segni e le cose, e molti passaggi decisivi della sua esistenza.
Gli accadimenti e le storie vissute, viste da vicino durante il suo girovagare per il mondo, hanno fatto di lui un serbatoio di storie per immagini, poi tradotte nelle parole che servono a dire del mondo, integrando in un mix di voci narranti, scrittura e visione.
Tèche della memoria, si aprono con gesto rapido e risolutivo della mano destra; scorre un fiume di immagini urticanti, di segni e di cifre, di matite colorate ben appuntite, che servono all’autore a ricordare che “ la storia non è una mappa catastale del passato “ un grande scacchiere con re e regine incasellati in spazi definiti, ma materia incandescente che riposa sotto cenere di brace.
La storia è scritta dagli uomini. E le pagine che non vorremmo leggere e le immagini che non vorremmo vedere sono molte, tante, troppe.
All’incrocio dei saperi, l’artista fiuta nuove piste; dove la mano smette di scrivere lo soccorre un serbatoio di immagini e di emozioni a lungo coltivate; nascono nuovi transiti, sulle rotte di un bisogno mistico molto profondo, Ruggiero scopre e pratica la cultura delle arti visive come la più idonea a smascherare il fantasma che lo abita.
Utile e prezioso il collage di immagini, di fotogrammi strappati all’usura del tempo, a descrivere ancora attraversamenti decisivi nella sua vita di uomo e di giornalista, di scrittore di storie per i lettori, da molti paesi della terra, che conservano, invisibile, il filo comune delle condizioni di vita e di religiosità popolare, che l’occhio attento di Giovanni fissa in immagini di notevole profondità.
         Ruggiero, fa sue le parole di Lucrezio, quando annota  che la vita non è data in possesso ad alcuno, ma in uso a noi tutti .
Gaetano Romano
(MetartContemporanea)

da IL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO


Giovanni Ruggiero
e le cassette di “cose”
tra arte e reportage

Anagraficamente va collocato a Casaluce, demograficamente è un po’ cittadino del mondo come tutti gli inviati speciali, giornalisticamente è nato a Caserta dove fino al prossimo giugno, espone una serie di “cose” tra arte e reportage. Giovanni Ruggiero, quindi. Era il 1972 e bussò alla redazione casertana de Il Tempo, voleva fare il giornalista, Riccardo Scarpa che era il capo intuì che poteva farlo, lo affidò a chi scrive e furono quattro anni di intesa. Poi, dopo la gavetta, il praticantato e venne l’assunzione al giornale Avvenire, un po’ di redazione romana, poi italiana e via con il pc e dal Kosovo all’Albania non s’è fatto mancare nulla. Alla sua porta, qualche anno fa bussa i destino, voglio il tuo fegato e glielo dette. In cambio, la Provvidenza questa volta, gliene ha dato uno donato da persona chiamata ad altra vita. I giorni dell’ospedale, della convalescenza e Giovanni Ruggiero non se ne poteva stare con  le mani in mano. E comincia a selezionare fotografie di famiglia e di quelle fatte in giro per la professione. Sono ricordi, cacciati in cassette della memoria. E sono finiti in alcune cassette, contenitori di legno, si aprono e ci sono “cose”. Come fotografie tagliate a tessera e plastificate, tutte mani in preghiera, nodose di vecchi contadini, giovani, accanto statuine di Padre Pio e Madonne di Lourdes incartate di garza come mummie. Significano.  Un’altra cassetta: tre bossoli di mitragliatrice diventano portafiori di tre minute rose rosse. Significano. Il resto è in mostra presso il Museo Diocesano già chiesa del Redentore su cui gradini con i puff rossi si tira notte coi prosecco. Giovà, hai cominciato a fare il giornalista a Caserta, ci fai qualche cassetta di quel periodo? Il giornalista-arista: “Il  corso Trieste di quarant’anni fa, ricco di commercio, lo facevo a piedi per ritirare i mattinali dai carabinieri. E poi il bar Gorizia che stava di fronte ala redazione, i tavolini in strada, quattro sedie occupate per un caffè, il cameriere che borbottava, il titolare Divo Alessandrini che tollerava. Poi…” Poi stop, che non bastano le cassette.

Franco Tontoli
(29 maggio 2011)




Caserta - La mostra
Quelle foto con i volti di speranza
Successo per la rassegna e lavori d’arte
di Giovani Ruggiero al Museo diocesano


Mirano diritte al cuore le fotografie di Giovanni Ruggiero, giornalista e inviato speciale dell'Avvenire, in mostra nei giorni scorsi a Caserta, nel Museo diocesano. E fanno strike, scivolando senza incertezze, tra le paludi della ragione. Talvolta sono racconti imprigionati nelle scatole dei ricordi, che si liberano frantumandosi in divertenti puzzle di luoghi, umori e curiose macchine del tempo, che autore e osservatore possono fare e disfare a proprio piacimento. Altre volte sono istantanee «colte al volo», che il reporter descriverebbe con le parole della «prima bozza», deliziosamente impure per il dono assoluto della casualità. Dal gabbiano in volo sullo sfondo del Vesuvio, al piccolo rom che lievita tra i panni stesi ad asciugare, queste immagini esprimono il contrasto tra leggerezza e gravità, realtà e sogno, amore e solitudine, accoglienza e rifiuto, verità e apparenza. E ci interrogano dai luoghi del mondo dandoci del tu senza mezzi termini: da Napoli fino alla Russia, passando per l'Albania, siamo tutti dentro ogni scatto. La galleria dei ritratti di «gente e scugnizzi del mondo» descrive il caleidoscopio etnico delle sofferenze globali, facendo da pendant alla serie dei «manichini» dove donneoggetto di plastica, seriali come prodotti industriali, esprimono significativamente il vuoto dell'occidente consumistico. Gli scatti de «I Fujenti», che rimandano all'anima dionisiaca delle nostre tradizioni popolari, si alternano alle apollinee e quasi metafisiche «Geometrie urbane». Architetture di facciata che si riflettono a vicenda nelle algide vetrate dei quartieri di Manhattan o che giocano, un po' alla Mondrian, tra collage di colori e tessiture. Una modernità che spesso ha pericolosamente dimenticato l'uomo e i suoi bisogni più profondi. Così, dall'istantanea dei piccioni sospesi sui fili di un semaforo tra i grattacieli di New York, voliamo con un brivido a quella cinematografica del noto film di Alfred Hitchcock, «Gli uccelli». «La fotografia non crea eternità come l'arte», scriveva nel 1958 André Bazin, critico cinematografico. Sarà. Ma questa fotografia, che trasferisce sostanza e alimenta il lavoro del reporter, ci rimtte al capezzale dell'umanità con gli occhi del cuore. Memento, ricordati: dell'uomo e del mondo, con umiltà. E non dimenticarli.
Gabriella Riselli
(Avvenire 12 maggio 2011)